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Circa 11,3 milioni di europei vivono in un paese dell'UE diverso dal proprio. Sono 4 milioni in più rispetto a dieci anni fa, ma rappresentano ancora solo il 2,3% della popolazione. Questi dati,
contenuti in una relazione dell'UE, dimostrano che sono ancora troppo pochi gli europei che sfruttano il diritto a trasferirsi per lavoro in qualsiasi paese dell'Unione: uno dei principali vantaggi del mercato unico e un elemento chiave del suo successo.
La mobilità dei lavoratori - sostiene l'Unione Europea - può contribuire a ridurre la disoccupazione facendo incontrare domanda e offerta, ma per andare a lavorare in un altro paese dell'UE bisogna
ancora superare molti ostacoli. Non solo giuridici, ma anche amministrativi e pratici. L'alloggio, la lingua e il lavoro per il coniuge sono solo alcuni dei fattori che incidono sulla mobilità transfrontaliera.
Un'indagine di Eurobarometro rivela comunque che il 48% degli europei sarebbe disposto a cercare lavoro in un altro paese o in un'altra regione se perdesse il proprio posto, mentre il 17% prevede di emigrare in futuro. I meno propensi a lasciare il proprio paese sono gli italiani: appena il 2% ha vissuto o lavorato in un paese diverso dal proprio, ultimi in Europa, preceduti dai tedeschi (all'8%) ma ben lontani dal 24% dei lussemburghesi, il 23% degli irlandesi e il 20% dei danesi.
E anche in termini di prospettiva, la situazione non cambia: l'83% degli italiani intervistati non pensa di lavorare in un paese diverso dal proprio in futuro mentre il 50% non sarebbe disposto a lasciare il proprio paese neppure se dovesse perdere il lavoro, anche se un 30% sarebbe disposto ad accettare di fronte a migliori condizioni di lavoro.
Per saperne di più:
Il Rapporto di Eurobarometro [.pdf - EN]
Lavorare in un altro paese europeo
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